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Modo novo

Una ricetta di Messisbugo letta, interpretata, tradotta in pratica entra nella nostra bocca, nel nostro palato e genera un doppio effetto, in quanto storia e in quanto simulazione, messinscena del passato; ma se la stessa è rivista alla luce di una pratica quotidiana squisitamente locale, questa sua seconda identità offusca la prima e nello stesso tempo ne rafforza la portata.

Il Libro novo rifletterebbe oggi una cultura dialettale, domestica, di famiglia ? Non sarebbe ovviamente così, perché la corte di Ferrara ha, in lontananza, un prestigio che le cucine romagnole d’oggi non potrebbero rivendicare, e una battaglia per spegnere le luci della globalizzazione ed osservare testimonianze e resti di una cultura identitaria, verrebbe voglia di dire microidentitaria, richiede una grande prudenza.
Abbiamo ipotizzato, quindi, un modo novo di attrezzarsi e mangiare che sciogliesse il dilemma: cercando nel passato una nuova  chiave per osservare il futuro e considerando non solo retaggio ma promessa la cucina di Lugo e delle Romagne, tradotta e ritradotta.

Le sorprese saranno molteplici. Iniziare una cena con insalate “d’herbe“  “di spargi” e di “anchioe” (acciughe) come avvenne il  20 maggio 1529, e continuarla con coltello e cucchiaio, senza forchetta, cogliendo con le dita pizze sfogliate e lampredine fritte. Oppure servire una "torta d’herbe ferrarese e romagnola" ripetuta oggi con le varianti che ingredienti, utensili, fonti di calore impongono, degustandola nelle sua progressiva diversificazione nei suoi esiti estremi.
Di fatto, ogni parola e ogni boccone serviranno a riflettere sulla nostra storia alimentare, sacrificando i luoghi comuni della tradizione e della cultura locale, invitando ascoltatori e lettori a rileggere ricettari cinquecenteschi e novecenteschi con la voglia di concretizzarli, in cucina, a tavola.

Nel sito troverete alcune proposte, che implementeremo nel tempo.

Ricette originali e ricette replicate con le loro varianti sino ad oggi; menu con piatti antichi “tradotti” e suggestioni imposte dalla nostra pratica di cucina; gioco dei sapori estremamente mutevole, con uno zucchero onnipresente a corte, e confinato a fine pasto oggi, e una sfoglia vero indicatore di continuità; caccia agli ingredienti, dentro e fuori dalla grande distribuzione, con il preciso intento di indagare ciò che ci resta o ci resterà, oggi e domani, del passato; riprendere i colori, il valore del cibo servito da consumarsi con gli occhi e ristudiarli in uno spettacolo prandiale cui concorre la fotografia; riesaminare le misure degli alimenti, non solo da un punto di vista quantitativo – le  “ostreghe mille“ del citato banchetto del 20 maggio 1529 – ma delle loro forme, studiate ed adattate, in perpetua metamorfosi; restituire alla fantasia un ruolo primario in tutte le operazioni relative alla cucina, con una rubrica che avrà proprio questo titolo: immaginare il cibo.

Un caleidoscopio dunque in cui scoprire oggetti alimentari e luci per leggerli, con la sorpresa costantemente in agguato e la novità insperata.